sabato 14 maggio 2011

Esproprio proletario

Nel lontano 2008 il secondo governo Prodi approvava la cosiddetta "legge Melandri" sui diritti televisivi, che tra i tanti sport andava a stravolgere gli equilibri ormai consolidati anche del mondo del calcio nostrano. In sostanza si tornava alla contrattazione collettiva con una spartizione più equa dei cospicui ricavi, fino ad allora quasi esclusivamente appannaggio delle Grandi, che stabilivano individualmente il prezzo con le emittenti televisive.
A quattro anni di distanza il centrosinistra è tornato mestamente laddove si trova meglio per tradizione storica e per naturale propensione masochistica, ovvero all'opposizione, ma l'ennesima legislatura sotto il segno del Cavaliere di Arcore non pare aver inciso nemmeno su questo terreno che, in quanto presidente di una delle Grandi, il Milan, avrebbe potuto interessarlo maggiormente. Invece a riprova della assoluta incapacità di governo del Cavaliere in tutti gli ambiti, la legge contestata fatta da una delle più improbabili ministre dello sport della storia repubblicana è rimasta tale e quale: perché allora se ne torna a parlare? Il fatto è che la legge prevedeva certo la contrattazione collettiva ed una spartizione più equa della torta, ma con un certo buon senso riservava una parte, il 25%, alle Grandi, nel senso che lo assegnava in base al numero di tifosi delle squadre. Qualche settimana fa le Piccole, con l'appoggio dell'assenteista presidente della lega, Beretta, ha votato la delibera che affida a tre nuove agenzie le indagini demoscopiche per stabilire il numero di tifosi di ciascuna squadra. Milan, Juve, Napoli, Inter e Roma si sono allora rivolte alla Alta Corte di Giustizia che ha per il momento bloccato il provvedimento. La spaccatura appare però grave tanto da far ricorrere ad inusuali considerazioni il sempre fuori luogo Andrea Agnelli, che addirittura ha minacciato di portare la Juve a giocare in un altro campionato. L'ad dell'Inter Paolillo dal canto suo è rimasto più sulla terra pur prospettando la possibilità che il mercato estivo delle grandi venga fatto solo tra di loro, per non dare soldi alle proletarie ribelli.
L'idea livellatrice che aveva ispirato la Melandri e che ora spinge le piccole è quella di dar vita ad un campionato più equilibrato nel quale lo strapotere economico di poche grandi società non decida già in partenza l'esito finale della competizione. Come spesso accade nella legge, che ha comunque il merito di porsi un problema reale, si mescola del buono e del cattivo: il desiderio di riequilibrare le cose tiene nel giusto conto il fatto che le grandi da sole non potrebbero giocare e che ogni anno dalle piccole prendono giocatori giovani che non avrebbero tempo di far maturare.
Accanto a questo genere di iniziativa sarebbe stato necessario però permettere ai grandi club di avere il via libera per la costruzione dei propri stadi in modo da permettere a chi investe di più di guadagnare di più per restare al passo con le maggiori squadre europee. Tutto sommato, se si guarda all'estero il nostro campionato appare ben più equilibrato e vincere per Milan, Inter e compagnia non è mai scontato; resta da vedere se perché il livello delle grandi è ormai misero (come porterebbero a pensare le figuracce europee e lo scudetto di un modesto Milan insidiato a lungo da squadre come Udinese o Napoli) o per il valore delle piccole nostrane.
Come era scontato attendersi dalle alte sfere del sport italiano (leggi l'inconfondibilmente incapace ebete/Abete) parlare di prese di posizione risulta fuori luogo, piuttosto solito invito buonista alla conciliazione. Per non parlare poi dell'esecutivo: la maggioranza, impegnatissima a sfornare leggi per il Padrone/ladrone, non ha tempo di occuparsi del futuro dei giovani e più in generale dell'economia italiana, figuriamoci se si mette a intervenire sul sempre spinoso tema calcistico, peraltro non esente da conflitto di interesse. Toccherà aspettare il prossimo ministro dello sport di centrosinistra... direi che si può aspettare con tutta calma.

Giuseppe Zerutituli

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